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COMUNITÀ ENERGETICHEStrumento per la cura del creato


Lo scorso anno vi abbiamo parlato a lungo del percorso Alleanze ambientali a cui abbiamo preso parte in modo attivo come Gioventù francescana d’Italia.

Alleanze ambientali nasceva come un percorso post Taranto, ovvero seguente alla Settimana sociale dei cattolici italiani 2021 che si era tenuta a Taranto lo scorso ottobre.

Esso è stato un cammino che ci ha visti dialogare assieme ad altri giovani su varie tematiche, quali la transizione ecologica, le comunità energetiche, la cultura sociale, la cura dell’ambiente. Da quest’anno in poi il percorso prende una nuova forma e il movimento delle Alleanze ambientali si allarga e si integra ufficialmente al viaggio verso la prossima settimana sociale. L’obiettivo di tutto questo è e rimane sempre quello di trasformare le tante parole in fatti concretipassare dalla Vita al Vangelo e dal Vangelo alla Vita; di metterci insieme ad altri giovani perché è l’unione che fa la forza; e di costruire un mondo migliore insieme.


Noi continuiamo a seguire e partecipare, e chiediamo a chiunque voglia entrare a far parte del progetto in prima persona, di registrarsi a questo link https://forms.gle/jsopdu5BvxSJru9z9 per essere raggiunta/o dall’ invito degli organizzatori al prossimo incontro.


Inoltre riteniamo importante approfondire il tema delle Comunità energetiche, il quale è stato uno dei punti con cui i Vescovi hanno concluso la Settimana sociale dei cattolici italiani 2021: affinché tutte le diocesi possano promuovere questo modus vivendi, ancora troppo sconosciuto.

Le comunità energetiche sono uno strumento che ci aiuta a costruire un mondo più sostenibile, meno inquinato e che rispetti l’ambiente: abbiamo chiesto ad Alberto, giovane francescano di Torino, dottorando presso il Politecnico di Torino, di aiutarci a capire cosa sono concretamente le comunità energetiche, come possono essere realizzate e perché è importante il nostro impegno da francescani in questo senso.


Di seguito l’articolo.


Cari Fratelli,

il Signore vi dia Pace.


Vi scrivo in un tempo che purtroppo sa poco di pace. Sa poco di quell’armonia che Dio aveva pensato per noi e per il suo creato nei 6 giorni di duro lavoro in cui non ha fatto e pensato ad altro se non plasticizzare il suo amore in quello che noi chiamiamo universo. Una realizzazione e concretizzazione del suo pensiero talmente desiderata che ha voluto condividere con l’uomo la capacità di pensare e realizzare di plasmare e prendersi cura, amare.


PREMESSA

Negli ultimi anni il tradimento di questa fiducia si sta facendo sempre più profondo e quel che è peggio consapevole. Se infatti fino a qualche secolo fa ci rimanevano nascoste molte delle leggi fisiche e sociali che sono in grado di descrivere e prevedere in maniera più approfondita le conseguenze delle nostre azioni oggi non è più così e la consapevolezza rappresenta quell’aggravante decisiva che rende l’azione deliberatamente ostile. È indubbio che ogni conoscenza, ogni passo nel progresso non è altro che un ulteriore incoraggiamento, un dono che Dio ci offre attraverso la possibilità di usare il nostro intelletto e la nostra ragione affinché capendo possiamo curare di più, possiamo rimediare agli sbagli consapevoli o inconsapevoli, possiamo fare al meglio quello per cui siamo stati creati: amare rigenerando l’amore fino alla fine dei tempi, di generazione in generazione. È quindi un peccato non utilizzare per amare quello che Dio ci ha donato perché tutto ciò che non concorre all’amore è qualcosa che si oppone alla rinascita dello stesso e, dal momento che noi siamo fatti per amare, in definitiva non amando ci opponiamo in ultimo sempre alla nostra vita ed esistenza.


La primavera e l’estate del 2022, come tutti saprete, portano indelebili i segni di questo tradimento sia qui in Italia da dove vi scrivo, sia in tutte le parti del mondo. Trombe marine dalla potenza distruttrice dove non si erano mai viste; siccità estreme per lunghi periodi che mettono in ginocchio popolazioni e habitat naturali; improvvisi diluvi che fanno esondare fiumi, distruggono città abitazioni e seminano morti lungo la loro scia di fango; roghi inestinguibili che bruciano su tutta la superficie di interi stati consumando l’ossigeno e annerendo l’aria; scioglimenti di ghiacciai che forse la mia generazione non vedrà mai riformarsi; innalzamento dei mari con la sparizione di tratti di costa e allagamento di città costiere; dighe che si sgretolano sotto la pressione delle inconsuete quantità di acqua piovana; tempeste di vento che radono al suolo intere foreste rendendo calve quelle che una volta erano le verdi montagne delle alpi... e potrei continuare.


Ormai questi eventi tragici rappresentano una costante dei nostri notiziari da anni e ditemi voi se un uomo della bibbia non avrebbe potuto intenderli come segni inequivocabili della fine del mondo. Beh possiamo dire che in un certo senso ci avrebbe preso, la fine del mondo come lo abbiamo conosciuto fin qui è ormai una certezza, come è certa la responsabilità di questi mutamenti. La genialità della creazione risiede anche nel fatto che l’equilbrio intrinseco sulla quale si regge, anzi direi addirittura la sua stessa esistenza, richiede una condizione necessaria e sufficiente: l’amore.

È infatti chiaro che se l’intera creazione è espressione dell’amore di Dio e quindi rappresenta un realizzazione dell’amore non può continuare ad esistere nel momento in cui la sua totalità non è più capace di esprimere amore. Tale condizione presuppone quindi “l’autodistruzione” nel momento in cui la creazione devia dal suo motivo generatore e significato intrinseco.


RE-IMPARARE IL CONCETTO DI COMUNITÀ

Nonostante questa visione oggettivamente preoccupante del nostro tempo è tuttavia pur vero che la specie umana nel suo complesso sembra sforzarsi di tentare almeno di recuperare questo rapporto di cura ed amore cercando di porre rimedio agli effetti dei suoi errori. Enormi sforzi vengono fatti ogni anno per trovare nuove soluzioni, per trovare il modo di approcciarsi alla realtà da coloro che mettono buona volontà nella loro vita per cercare di viverla facendo ciò che è giusto e non ciò che è facile o illusivamente redditizio (Infatti quale tornaconto avrà ad esempio un uomo che investe nella propria attività in modo non sostenibile se poi dovrà spendere tutti i suoi soldi per fronteggiare i danni provocati dalle catastrofi naturali di cui sopra o pagare le bollette dell’energia a causa di guerre che hanno alla base la necessità di approvvigionamento di beni primari quali l’acqua potabile, il grano, terre asciutte coltivabili o che sono provocate da persone con visioni miopi come le sue e che mirano solo a potere e denaro?)


Contrariamente a quanto si pensi o sembri tali sforzi vengono fatti anche durante i summit internazionali anche se spesso gli scarsi progressi in politiche comuni gridano ancora una volta le difficoltà diverse di paesi con enormi divari economici provocati proprio da quella disunità e mancanza di sapere amare di cui gli uomini si sono spesso fatti colpevoli nei confronti dei propri fratelli.


Sembra quasi che la salvezza non possa quindi prescindere dallo sforzo di re-imparare il concetto di comunità. Una comunità di pari con necessità diverse come lo è quella dei fratelli in una famiglia. Se ci si pensa infatti, tutte le volte che l’uomo si è trovato in momenti difficili ha reagito istituendo un qualche tipo di comunità dove il mutuo aiuto (una forma di amore) era alla base delle relazioni. Si pensi infatti a come reagirono i primati per sopravvivere ai primordi della nascita dell’uomo, condividendo cibo e riparo, si pensi a come i greci abbiano imparato a condividere il loro pensiero all’interno delle poleis per permettere la migliore amministrazione della comunità urbana, si pensi a come, dopo la caduta dell’impero romano e con l’avvento del periodo di incertezza profonda qual era il medioevo siano nate le comunità agricole e i borghi; come nel rinascimento siano nate le gilde per tutelare i compagni di mestiere dai pericoli ai quali i nuovi utilizzi del denaro e le grandi competizioni commerciali internazionali ed extracittadine li esponevano; si pensi come nell’epoca moderna la comunità sia stata considerata alla base di nuove teorie politico-economiche quali il comunismo che in origine miravano ad una mutua assistenza e corresponsabilità di quanto ci circonda e ci appartiene. Si pensi a come la comunità sia una componente fondamentale delle popolazioni delle 3 religioni monoteiste e come all’interno della stessa Chiesa (ecclesia=assemblea=comunità) siano nati gli ordini monastici alla cui base esiste la necessità di creare una comunità religiosa e che molto ci hanno dato nella storia come pensiero e come struttura della società.


SAN FRANCESCO E IL CONCETTO DI COMUNITÀ

Noi stessi che seguiamo il carisma francescano sperimentiamo come Francesco faccia passare l’esperienza dell’unica appartenenza al padre attraverso l’importanza che dà alla vita comunitaria e ai rapporti comunitari tra i singoli appartenenti all’ordine.

Nell’opera e nell’insegnamento di Francesco la comunità assume un ruolo fondamentale se poi la si accosta alla sua dimensione fraterna che presuppone l’impegno ad esercitare quell’amore e quella cura dalla quale ha preso spunto il nostro discorso. La stessa cura e lo stesso amore che si impiegano nei rapporti umani sono alla base del rapporto del singolo e della comunità con il resto del creato.


LE COMUNITÀ ENERGETICHE COME STRUMENTO DI CURA DEL CREATO

Leggendo la storia in questi termini sembra quindi quasi scontato che uno dei modi più promettenti con i quali è possibile affrontare le nuove sfide che la questione energetica ci pone sia la formazione e l’adesione delle Comunità energetiche.


L’obiettivo principale è ancora una volta quello di investire nel futuro realizzando realtà in cui la condivisione di necessità e di risorse rende sensata la nostra esistenza come fratelli corresponsabili della cura reciproca. L’elemento di novità rispetto al passato risiede inoltre nella consapevolezza che la realizzazione di una comunità così detta non solo realizza i principi di amore e cura fraterna ma anche quelli di cura del creato.


Ma in cosa consiste effettivamente una comunità energetica e perché possiamo affermare che sia effettivamente uno dei modi migliori di affrontare il problema energetico dando un contributo anche al combattimento del cambiamento climatico?


Una comunità energetica è un’associazione che può essere composta da enti pubblici e/o aziende e/o attività commerciali e/o cittadini privati i quali costituiscono un ente legale scegliendo di dotarsi di infrastrutture per la produzione di energia da fonti rinnovabili e l’autoconsumo attraverso un modello basato sulla condivisione.


Come possiamo vedere da questa prima definizione la comunità energetica agisce sfruttando risorse rinnovabili e mette in prima linea i suoi componenti che diventano allo stesso tempo produttori, in inglese “producer” (come se ogni componente avesse una piccola centrale di produzione di energia) e consumatori, in inglese “consumer”. È proprio unendo queste due parole inglesi che viene fuori la parola con la quale si identifica il generico componente della comunità: il “ProSumer”.


La realizzazione di una comunità energetica corrisponde quindi alla creazione di un modello di gestione dell’energia di stampo collaborativo che ha come scopo quello di scambiare energia localmente tra i diversi prosumers che possono consumare l’energia che gli manca usando quella prodotta da un altro componente della comunità che in quel momento ne ha prodotta in più rispetto a quella che gli serviva. Viene quindi favorita la gestione dell’energia in modo congiunto, viene incentivato lo sviluppo sostenibile e viene promossa l’indipendenza dal sistema elettrico nazionale.


Quest’ultimo punto in particolare porta con se 2 vantaggi intrinseci: 1. Il cambio di approccio del cittadino da semplice fruitore inconscio a prosumer che si applica per fare la sua parte nella fornitura dell’energia alla comunità e comprende i meccanismi di gestione dell’energia; 2. Risparmio di energia e di denaro. Si pensi infatti che, durante il suo lungo viaggio all’interno dei cavi elettrici dalle grandi centrali alle nostre prese elettriche, parte dell’energia viene dispersa nel tragitto essendo così sprecata. Questa parte di energia viene conteggiata in quella voce delle nostre bollette che si chiama “oneri di sistema e costi di distribuzione”. Detto ciò, è intuitivo che minore è la lunghezza dei cavi (del percorso fatto dall’elettricità) minore sarà l’energia persa. Nel caso delle comunità energetiche (che sono composte da attività o residenze vicine tra loro come quelle di diversi condomini o di un piccolo quartiere industriale o di una serie di villette) le distanze coperte dai cavi sono veramente piccole in confronto a quelle coperte dai cavi che arrivano dalle grosse centrali e quindi quasi tutta l’energia prodotta è potenzialmente utilizzabile senza che venga sprecata in dispersioni. Il prosumer diventa quindi responsabile anche del trasporto e della condivisione dell’energia.


Ma come fa un prosumer a produrre elettricità, cioè a diventare una piccolissima centrale di energia elettrica per se e per gli altri prosumers? Questo avviene semplicemente andando ad installare dei pannelli fotovoltaici sulle proprie aree a disposizione o in alternativa installando altri meccanismi per la produzione di energia da fonti rinnovabili quali turbine eoliche o piccoli impianti idroelettrici o generatori elettrici che brucino biometano prodotto in loco o addirittura celle a combustibile che convertono direttamente quest’ultimo o altri gas come l’idrogeno in corrente elettrica senza bisogno di “bruciarlo”.


Le comunità energetiche vanno oltre la soddisfazione del fabbisogno energetico perché incentivano nuovi modelli socioeconomici caratterizzati dalla circolarità. I prosumers, come abbiamo visto, sono infatti impegnati nelle diverse fasi di produzione, consumo e distribuzione, dove lo scarto degli uni diventa la risorsa degli altri agendoo secondo principi di responsabilità ambientale, sociale ed economica.


In Italia la legge sulle comunità energetiche è stata promossa con il decreto Mille proroghe 162/2019 grazie alla quale sono state riconosciute le Comunità Energetiche Rinnovabili (REC). La legge specifica che, proprio per il principio di comunità, i prosumers non possono mai essere delle aziende per le quali la produzione e cessione dell’energia rappresenti l’attività principale.


Le comunità energetiche in Italia sono divise in due tipologie principali. La prima prevede un contratto che vincoli i prosumers membri a produzione, autoconsumo, condivisione con gli altri prosumers e vendita dell’eventuale eccedenza alla rete nazionale; La seconda prevede che i prosumers organizzati possano non solo eseguire quanto sopra ma anche organizzarsi con altri soggetti privati (esterni alla comunità) ai quali vendere parte dell’energia elettrica prodotta.


Si fa notare comunque che, essendo previsto il fatto che nessuna azienda possa avere come principale attività quella della compravendita di energia, l’eventuale disponibilità di energia da mettere in vendita dipende da: 1. Potenza installata dai prosumers; 2. Virtuosità dei prosumers che consumando il meno possibile massimizzerebbero la quantità di energia in eccesso da poter vendere. Tutto ciò incentiva allo sviluppo di una cultura del risparmio, della sostenibilità e dell’efficienza energetica.


La norma, che recepisce la direttiva europea RED II 2001/2008 con la quale l’UE riconosce valenza giuridica alle associazioni introducendo la figura del prosumer, prevede per le comunità anche dei benefici tariffari ventennali gestiti dal GSE (Gestore del Sistema Energetico) e alcuni vincoli che impongono che gli impianti debbano essere di nuova costruzione, entro i 200KW e collegati alla rete elettrica nazionale di media/bassa tensione utilizzando la stessa cabina di trasformazione per il prelievo e la cessione dell’energia alla rete.


La normativa Italiana, pur rappresentando un grosso passo avanti nell’incentivazione e nel riconoscimento di queste soluzioni, è comunque ancora molto giovane imperfetta e parziale e ci si aspetta che possa essere velocemente integrata e sviluppata per agevolare la diffusione delle comunità.


COSA POSSIAMO FARE NOI

Proprio per tutti i motivi fin qui descritti, soprattutto noi che seguiamo il carisma francescano, abbiamo il particolare compito di informarci, informare e agire perché queste e altre soluzioni sostenibili diventino parte della nostra quotidianità e vengano percepite come atti di cura e amore verso gli altri fratelli e verso il creato. La vicinanza ai poveri e agli ultimi (IV punto della nostra promessa) trova declinazione anche nella vita virtuosa e sostenibile di ciascuno che indirettamente, umilmente e in modo anonimo fa il servizio di mantenere la nostra casa quel paradiso che Dio ci ha donato salvando vite anche molto lontane dal punto in cui viviamo da morte e povertà.


Spero dunque che questo articolo giunga a voi come uno sprone e un conforto mostrando che cambiare è possibile seppur difficile. Mando inoltre un appello a tutti coloro che siano interessati di approfondire o di mettersi a servizio con le loro competenze tecniche ed umane di contattare senza timore i relativi riferimenti in fraternità o in consiglio nazionale perché ormai da un anno si sta mirando alla realizzazione di un gruppo che, collaborando con le altre realtà cattoliche del nostro paese, si sforzi a cercare di essere scintilla nelle comunità per informazione e sviluppo di progetti anche concreti.



Salutandovi con un grande abbraccio

Il Signore vi dia Pace


Alberto, GiFra Torino




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